Il libro ricostruisce l’esperienza umana e religiosa del patrizio veneziano Vittore Soranzo, discepolo prediletto e poi successore di Pietro Bembo alla guida della diocesi di Bergamo tra il 1544 e il 1551, quando il suo coraggioso impegno riformatore venne stroncato dal processo inquisitoriale cui fu sottoposto a Roma. Alla radice di quell’impegno, infatti, si poneva l’identità religiosache egli aveva maturato tra Napoli e Roma all’inizio degli anni quaranta, via via evolutasi dalle originarie matrici valdesiane verso esiti per molti aspetti analoghi a quelli del luteranesimo. La sua vicenda consente quindi di ricostruire il caso pressoché unico di un vescovo italiano che, negli anni del concilio di Trento, si sforzò non solo di riformare la sua Chiesa, ma di farlo sulla base di orientamenti profondamente nutriti della dottrina protestante della giustificazione per sola fede e delle molte conseguenze che ne scaturivano sul piano ecclesiologico e sacramentale. Fu da essa, infatti, che egli trassi i presupposti per misurarsi con i gravi problemi che affliggevano la diocesi, soprattutto – come pressoché ovunque nell’Italia di quei decenni – a causa dell’ignoranza, dell’assenteismo, della corruzione del clero e di antiche prassi devozionali popolari intrise di superstizioni magiche, spesso clamorosamente incentivate e sfruttate da preti e frati. Fu questo il nodo che il Soranzo cercò di recidere incentrando la sua azione pastorale su una teologia rinnovata, che si sforzò di diffondere con la predicazione dal pulpito, con la scelta dei parroci, con la diffusione di opuscoli eterodossi, con nuove disposizioni impartite ai monasteri femminili, con provvedimenti repressivi. Di qui l’insorgere non solo di prevedibili ostilità da parte del clero i cui comportamenti anomici che egli cercò di combattere, ma anche l’emergere di crescenti contraddizioni che scaturivano dal suo stesso ruolo istituzionale di esponente della gerarchia cattolica, proprio negli anni in cui il concilio veniva definendo l’ortodossia romana, mentre assai difficile si rivelò anche il rapporto con i gruppi ereticali bergamaschi, ormai orientati in senso consapevolmente calvinista. L’aspro scontro politico e religioso in atto ai vertici della curia romana tra il pontefice e il Sant’Ufficio consentì al Soranzo di evitare che la piena confessione da lui resa in occasione del processo del 1551 si trasformasse in una severa condanna, al punto che pochi anni dopo poté riprendere il governo della diocesi, pur sotto il diretto controllo di vicari scelti da Roma, talora non tanto con il compito di collaborare con lui quanto di acquisire nuove prove a suo carico. Nel 1555 l’elezione alla tiara del papa inquisitore per eccellenza, Paolo IV Carafa, segnò quindi l’avvio di un nuovo processo, conclusosi con una formale condanna per eresia e con la privazione del vescovato, nella primavera del 1558, di cui egli poté essere informato poco prima di morire a Venezia, dove si era rifugiato per sottrarsi al processo romano.

Vittore Soranzo vescovo ed eretico. Riforma della Chiesa e Inquisizione nell'Italia del '500

FIRPO, MASSIMO
2006

Abstract

Il libro ricostruisce l’esperienza umana e religiosa del patrizio veneziano Vittore Soranzo, discepolo prediletto e poi successore di Pietro Bembo alla guida della diocesi di Bergamo tra il 1544 e il 1551, quando il suo coraggioso impegno riformatore venne stroncato dal processo inquisitoriale cui fu sottoposto a Roma. Alla radice di quell’impegno, infatti, si poneva l’identità religiosache egli aveva maturato tra Napoli e Roma all’inizio degli anni quaranta, via via evolutasi dalle originarie matrici valdesiane verso esiti per molti aspetti analoghi a quelli del luteranesimo. La sua vicenda consente quindi di ricostruire il caso pressoché unico di un vescovo italiano che, negli anni del concilio di Trento, si sforzò non solo di riformare la sua Chiesa, ma di farlo sulla base di orientamenti profondamente nutriti della dottrina protestante della giustificazione per sola fede e delle molte conseguenze che ne scaturivano sul piano ecclesiologico e sacramentale. Fu da essa, infatti, che egli trassi i presupposti per misurarsi con i gravi problemi che affliggevano la diocesi, soprattutto – come pressoché ovunque nell’Italia di quei decenni – a causa dell’ignoranza, dell’assenteismo, della corruzione del clero e di antiche prassi devozionali popolari intrise di superstizioni magiche, spesso clamorosamente incentivate e sfruttate da preti e frati. Fu questo il nodo che il Soranzo cercò di recidere incentrando la sua azione pastorale su una teologia rinnovata, che si sforzò di diffondere con la predicazione dal pulpito, con la scelta dei parroci, con la diffusione di opuscoli eterodossi, con nuove disposizioni impartite ai monasteri femminili, con provvedimenti repressivi. Di qui l’insorgere non solo di prevedibili ostilità da parte del clero i cui comportamenti anomici che egli cercò di combattere, ma anche l’emergere di crescenti contraddizioni che scaturivano dal suo stesso ruolo istituzionale di esponente della gerarchia cattolica, proprio negli anni in cui il concilio veniva definendo l’ortodossia romana, mentre assai difficile si rivelò anche il rapporto con i gruppi ereticali bergamaschi, ormai orientati in senso consapevolmente calvinista. L’aspro scontro politico e religioso in atto ai vertici della curia romana tra il pontefice e il Sant’Ufficio consentì al Soranzo di evitare che la piena confessione da lui resa in occasione del processo del 1551 si trasformasse in una severa condanna, al punto che pochi anni dopo poté riprendere il governo della diocesi, pur sotto il diretto controllo di vicari scelti da Roma, talora non tanto con il compito di collaborare con lui quanto di acquisire nuove prove a suo carico. Nel 1555 l’elezione alla tiara del papa inquisitore per eccellenza, Paolo IV Carafa, segnò quindi l’avvio di un nuovo processo, conclusosi con una formale condanna per eresia e con la privazione del vescovato, nella primavera del 1558, di cui egli poté essere informato poco prima di morire a Venezia, dove si era rifugiato per sottrarsi al processo romano.
2006
Laterza
8842081345
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