Il saggio intende affrontare il concetto di ferita come traccia semantica e mnestica, indagandone la presenza e il senso nel quadro della letteratura religiosa (da Jacopone alla retorica sacra barocca), laddove la pagina mentale che si offre alla scrittura è il corpo piagato di Cristo, lo stilo la lancia di ogni peccatore, e i caratteri le ferite che indelebilmente fissano il ricordo del Sacrificio. L’immagine della ferita costituisce soprattutto una valida rappresentazione metaforica dell’idea di traccia mnemonica; o meglio, nei vari stadi che temporalmente la caratterizzano si offre come espressione dell’intera dinamica memoriale. Qualsiasi segno che portiamo sul corpo può esser letto come la registrazione – su di un supporto, al pari della memoria, deperibile – di tracce del nostro vissuto. La violenza (linguistica, iconica, fisica) rappresenta d’altronde una funzione primaria nelle pratiche di memorizzazione e reminiscenza. Ogni forma di artificiale incisione del corpo – subìta o inflitta – può divenire mediatrice del ricordo; e, soprattutto, comunicare la necessaria dimensione passionale del ricordo in quanto emozione che ha impresso violentemente l’animo. Il ferire (e i suoi strumenti) traduce appieno sub specie metaphorae la prassi delle annotazioni memoriali, di una dimensione mentale dell’atto di scrittura, poiché porta con sé l’idea della permanenza (di fronte al flusso temporale), della resistenza (alle perturbanti passioni psico-fisiche) e della profondità (a cui conducono violentemente il dato memoriale). All’interno del discorso sacro è ad esempio l’immagine della stigmate che, presentandosi nella forma di un concetto sintetico, per valore e finalità stratifica in sé più variazioni figurali dell’idea di segno (di memoria).

Corpo ferito, memoria aperta

TORRE, ANDREA
2009

Abstract

Il saggio intende affrontare il concetto di ferita come traccia semantica e mnestica, indagandone la presenza e il senso nel quadro della letteratura religiosa (da Jacopone alla retorica sacra barocca), laddove la pagina mentale che si offre alla scrittura è il corpo piagato di Cristo, lo stilo la lancia di ogni peccatore, e i caratteri le ferite che indelebilmente fissano il ricordo del Sacrificio. L’immagine della ferita costituisce soprattutto una valida rappresentazione metaforica dell’idea di traccia mnemonica; o meglio, nei vari stadi che temporalmente la caratterizzano si offre come espressione dell’intera dinamica memoriale. Qualsiasi segno che portiamo sul corpo può esser letto come la registrazione – su di un supporto, al pari della memoria, deperibile – di tracce del nostro vissuto. La violenza (linguistica, iconica, fisica) rappresenta d’altronde una funzione primaria nelle pratiche di memorizzazione e reminiscenza. Ogni forma di artificiale incisione del corpo – subìta o inflitta – può divenire mediatrice del ricordo; e, soprattutto, comunicare la necessaria dimensione passionale del ricordo in quanto emozione che ha impresso violentemente l’animo. Il ferire (e i suoi strumenti) traduce appieno sub specie metaphorae la prassi delle annotazioni memoriali, di una dimensione mentale dell’atto di scrittura, poiché porta con sé l’idea della permanenza (di fronte al flusso temporale), della resistenza (alle perturbanti passioni psico-fisiche) e della profondità (a cui conducono violentemente il dato memoriale). All’interno del discorso sacro è ad esempio l’immagine della stigmate che, presentandosi nella forma di un concetto sintetico, per valore e finalità stratifica in sé più variazioni figurali dell’idea di segno (di memoria).
2009
Per violate forme. Rappresentazioni e linguaggi della violenza nella letteratura italiana
Maria Pacini Fazzi editore
memoria; ferita; religione
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