Nonostante l’apparente isolamento geografico, una figura come quella di Oscar Ghiglia (1876-1945), pittore livornese gravitante fra la sua città d’origine, Firenze e Castiglioncello e solo in rarissimi casi spintosi oltre i confini toscani, può suscitare in noi ancora un grande interesse. È proprio sulla conciliazione operata da Ghiglia fra la comprensione profonda della lezione pittorica di Giovanni Fattori e lo scarto da tali origini labroniche, fra la provincia macchiaiola e la Francia già cézanniana, che si fondano le ragioni di tale odierno interesse. Sarà infatti l’apertura del pittore all’orizzonte francese – a Cézanne, a Van Gogh, a Medardo Rosso, collezionati dall’amico Gustavo Sforni, e al sintetismo dei Nabis – a generare la presa di coscienza della propria autonomia dal linguaggio ottocentesco e toscano e il suo ostinato rifiuto di essere definito allievo di Fattori. Tale magistero è pertanto la cifra di un confronto imprescindibile: nel 1913 Ghiglia dedica al maestro un’importante monografia, che segna una svolta nella fortuna critica di Fattori, da questo momento non più visto come pittore di battaglie, ma letto nella dimensione più intima, più frammentaria – decisamente novecentesca – delle ‘tavolette’. Tentando in questi anni di rivivere ‘sulla propria pelle’ l’esperienza del maestro, Ghiglia la traduce, attraverso la propria visione interiore aggiornata sul verbo cézanniano, in linguaggio novecentesco, tagliando così quel cordone ombelicale che molti allievi di Fattori non seppero recidere.
Ghiglia
D'AYALA VALVA, MARGHERITA
2005
Abstract
Nonostante l’apparente isolamento geografico, una figura come quella di Oscar Ghiglia (1876-1945), pittore livornese gravitante fra la sua città d’origine, Firenze e Castiglioncello e solo in rarissimi casi spintosi oltre i confini toscani, può suscitare in noi ancora un grande interesse. È proprio sulla conciliazione operata da Ghiglia fra la comprensione profonda della lezione pittorica di Giovanni Fattori e lo scarto da tali origini labroniche, fra la provincia macchiaiola e la Francia già cézanniana, che si fondano le ragioni di tale odierno interesse. Sarà infatti l’apertura del pittore all’orizzonte francese – a Cézanne, a Van Gogh, a Medardo Rosso, collezionati dall’amico Gustavo Sforni, e al sintetismo dei Nabis – a generare la presa di coscienza della propria autonomia dal linguaggio ottocentesco e toscano e il suo ostinato rifiuto di essere definito allievo di Fattori. Tale magistero è pertanto la cifra di un confronto imprescindibile: nel 1913 Ghiglia dedica al maestro un’importante monografia, che segna una svolta nella fortuna critica di Fattori, da questo momento non più visto come pittore di battaglie, ma letto nella dimensione più intima, più frammentaria – decisamente novecentesca – delle ‘tavolette’. Tentando in questi anni di rivivere ‘sulla propria pelle’ l’esperienza del maestro, Ghiglia la traduce, attraverso la propria visione interiore aggiornata sul verbo cézanniano, in linguaggio novecentesco, tagliando così quel cordone ombelicale che molti allievi di Fattori non seppero recidere.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.