Questo saggio ricostruisce con un’ampiezza mai tentata finora le vicende dei due pergami di Donatello in San Lorenzo a Firenze (circa 1461-1466), calandole profondamente entro l’intero contesto topografico e cronologico del complesso architettonico brunelleschiano (Sagrestia Vecchia e Basilica) e della liturgia medicea, con tutti i loro antefatti paleocristiani e medievali, e con le loro sopravvivenze e trasformazioni post-tridentine (comprese la Sagrestia Nuova e la Cappella dei Principi). Finora i molti studiosi che si sono occupati dell’architettura di San Lorenzo hanno quasi sempre ignorato la liturgia, e i pochi che hanno accennato alla seconda hanno badato anche alla prima ma trascurando i pergami. Il risultato è che non pochi altri studiosi, sconcertati davanti all’eccezionalità e alla varietà interna dei pergami (materia bronzea, struttura, corredo iconografico e decorativo), hanno proposto che essi siano nati per tutt’altri scopi e poi adattati in maniera quasi forzosa così come li si vede oggi. Essi sono invece un omaggio meditatissimo e coltissimo alla tradizione medievale romana dei pergami doppî e di dimensioni diseguali (per il Vangelo e per l’Epistola) e a quella toscana dei pergami singoli a casse parallelepipede istoriate (qui riprese per la prima volta in bronzo). Il momento quasi finale del saggio è la ricostruzione della destinazione originaria delle due opere, da addossarsi ai piloni d’ingresso alla tribuna del coro canonicale, con i loro lati lunghi di fronte all’assemblea, radunata nel vasto e libero piedicroce brunelleschiano, da cui avrebbe traguardato la tomba di Cosimo il Vecchio al centro della crociera, l’altar maggiore, e i due pergami a esso affiancati e allineati. Poiché la basilica di San Lorenzo era ed è “occidentata” (così come le basiliche patriarcali di Roma, fatto cruciale per Brunelleschi e per i Medici), la messa era officiata “versus populum”, senza la possibilità di allestire un retablo presso l’altar maggiore. L’apparato iconografico della pala mancante passò perciò ai due pergami dei fianchi (cosa che avveniva di già nella Sagrestia Vecchia, nella relazione tra i battenti bronzei figurati di Donatello per le due porte laterali e l’altare anch’esso “coram populo” e senza pala, rivolto verso la tomba di Giovanni e Piccarda de’ Medici al centro del vano). In questo modo, i due pergami integravano di fatto, nell’iconografia, anche la tomba di Cosimo il Vecchio, ombelico della basilica e della cripta sottostante, creando con essa una messinscena straordinaria e visionaria, scopo dell’intero santuario fin dall’inizio della sua campagna edilizia culminante (1442), così da indurre Paolo Giovio a scrivere che il sepolcro di Cosimo era la basilica tutta. La morte di Donatello interruppe il progetto appena poco prima della fine, e i pergami, rimasti fermi per mancanza di un continuatore degno, non furono montati fino ai giorni della visita di Leone X a Firenze (1515-1516). Ma in quell’occasione, dovendo essi servire ormai come semplici cantorie, furono portati assai più avanti e girati di novanta gradi, presso i due piloni della crociera verso la navata, a pochi metri dalle posizioni odierne e isolate, perfezionate nel primo Seicento. Da tale stravolgimento del progetto originario sono discesi infiniti equivoci fino a oggi non solo sulla collocazione originaria delle opere, ma anche sulla loro funzione, la loro coerenza interna, la loro cronologia.

I pergami donatelliani di San Lorenzo nel contesto: architettura, liturgia, committenza

Caglioti Francesco
2022

Abstract

Questo saggio ricostruisce con un’ampiezza mai tentata finora le vicende dei due pergami di Donatello in San Lorenzo a Firenze (circa 1461-1466), calandole profondamente entro l’intero contesto topografico e cronologico del complesso architettonico brunelleschiano (Sagrestia Vecchia e Basilica) e della liturgia medicea, con tutti i loro antefatti paleocristiani e medievali, e con le loro sopravvivenze e trasformazioni post-tridentine (comprese la Sagrestia Nuova e la Cappella dei Principi). Finora i molti studiosi che si sono occupati dell’architettura di San Lorenzo hanno quasi sempre ignorato la liturgia, e i pochi che hanno accennato alla seconda hanno badato anche alla prima ma trascurando i pergami. Il risultato è che non pochi altri studiosi, sconcertati davanti all’eccezionalità e alla varietà interna dei pergami (materia bronzea, struttura, corredo iconografico e decorativo), hanno proposto che essi siano nati per tutt’altri scopi e poi adattati in maniera quasi forzosa così come li si vede oggi. Essi sono invece un omaggio meditatissimo e coltissimo alla tradizione medievale romana dei pergami doppî e di dimensioni diseguali (per il Vangelo e per l’Epistola) e a quella toscana dei pergami singoli a casse parallelepipede istoriate (qui riprese per la prima volta in bronzo). Il momento quasi finale del saggio è la ricostruzione della destinazione originaria delle due opere, da addossarsi ai piloni d’ingresso alla tribuna del coro canonicale, con i loro lati lunghi di fronte all’assemblea, radunata nel vasto e libero piedicroce brunelleschiano, da cui avrebbe traguardato la tomba di Cosimo il Vecchio al centro della crociera, l’altar maggiore, e i due pergami a esso affiancati e allineati. Poiché la basilica di San Lorenzo era ed è “occidentata” (così come le basiliche patriarcali di Roma, fatto cruciale per Brunelleschi e per i Medici), la messa era officiata “versus populum”, senza la possibilità di allestire un retablo presso l’altar maggiore. L’apparato iconografico della pala mancante passò perciò ai due pergami dei fianchi (cosa che avveniva di già nella Sagrestia Vecchia, nella relazione tra i battenti bronzei figurati di Donatello per le due porte laterali e l’altare anch’esso “coram populo” e senza pala, rivolto verso la tomba di Giovanni e Piccarda de’ Medici al centro del vano). In questo modo, i due pergami integravano di fatto, nell’iconografia, anche la tomba di Cosimo il Vecchio, ombelico della basilica e della cripta sottostante, creando con essa una messinscena straordinaria e visionaria, scopo dell’intero santuario fin dall’inizio della sua campagna edilizia culminante (1442), così da indurre Paolo Giovio a scrivere che il sepolcro di Cosimo era la basilica tutta. La morte di Donatello interruppe il progetto appena poco prima della fine, e i pergami, rimasti fermi per mancanza di un continuatore degno, non furono montati fino ai giorni della visita di Leone X a Firenze (1515-1516). Ma in quell’occasione, dovendo essi servire ormai come semplici cantorie, furono portati assai più avanti e girati di novanta gradi, presso i due piloni della crociera verso la navata, a pochi metri dalle posizioni odierne e isolate, perfezionate nel primo Seicento. Da tale stravolgimento del progetto originario sono discesi infiniti equivoci fino a oggi non solo sulla collocazione originaria delle opere, ma anche sulla loro funzione, la loro coerenza interna, la loro cronologia.
2022
Settore L-ART/01 - Storia dell'Arte Medievale
Settore L-ART/02 - Storia dell'Arte Moderna
Settore L-ART/04 - Museologia e Critica Artistica e del Restauro
L’ultimo Donatello. I Pulpiti di San Lorenzo: studi e restauro
Edifir
Donatello; Filippo Brunelleschi; Desiderio da Settignano; Beato Angelico; Andrea del Verrocchio; Cosimo de' Medici il Vecchio; Lorenzo de' Medici il Vecchio; Giovanni di Bicci de' Medici; architettura paleocristiana; architettura romanica; architettura del Rinascimento; scultura italiana del Medioevo; scultura italiana del Rinascimento; amboni medievali; Firenze; Milano; san Carlo Borromeo; Pellegrino Tibaldi
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