Il Buon governo di A. Lorenzetti è un apparente hapax figurativo-iconografico, che gli studi recenti tendono a leggere solo sulla scorta di fonti testuali. Anche a fronte di riletture (Skinner, che nega ogni impronta aristotelica), basate in specie su ‘nuove’ identità del vecchio che domina l’Allegoria centrale, urge tornare all’evidenza interna alle pitture e ricollocarle nella tradizione figurativa: in specie, merita riflettere su un modello perduto: il ciclo che entro il 1328 Giotto lasciò al Palazzo del Podestà di Firenze (§1,2). Da una puntuale rilettura delle pitture, guidata dai tituli metrici e attenta a dettagli poco osservati, come la corda che ‘vincola’ il vecchio alla Giustizia, emerge per la figura discussa un’identità certa: il Comune (di Siena), il cui governo, esito e garante della giustizia, s'identifica col bene comune (§3). Sul Comune era già centrato il ciclo giottesco, di cui si tenta una rievocazione, incrociando fonti testuali e visive in parte mai considerate. Mostrando un contrasto fra opposti – il Comune prima ‘rubato’, poi restaurato e in atto di punire gli aggressori –, si sanzionava ogni attentato economico o politico al bene comune, rimarcando la centralità della giustizia (§4). A tale contrasto-sequenza subentra a Siena quello fra Comune e Tirannia, denunciando il rischio che le malversazioni condannate a Firenze producano un mutamento di regime. E se già a Firenze operava l’‘ideologizzazione del Comune’ propria della scolastica civica, qui (‘pace’ Skinner) è chiara la sintonia con le riletture comunali della ‘Politica’ (§5). Il Comune di Giotto era scortato dalle Virtù cardinali, da secoli compagne dei sovrani; a Siena, l’idea d’un Comune sibi princeps è centrale. Lo mostra in specie la scoperta d’una prima versione del Comune, laureato: il che ‘focalizza’ nel ciclo una serie di tratti ‘imperiali’, in sintonia con l’intonazione ‘bartoliana’ dei coevi Statuti. All’alloro subentrò poi il cappello del giudice, figura che incarna un tratto cruciale del Comune: il ‘legame’ con la giustizia, dove la Tirannide è legibus soluta (§6). Seguono aggiornamenti sulla scoperta d’un pagamento a Lorenzetti (1338) per l’effigie d’un Sindaco, magistrato preposto a tutelare il Comune da ogni minaccia di sovversione (§7). Verificata dall’inizio la rilevanza dei tituli metrici, si propone infine di valutarne l’attribuzione a Bindo di Cione del Frate, in base ad affinità tematiche, lessicali e metrico-sintattiche con la sua Quella virtù che il terzo cielo infonde (§8).

Dal 'Comune rubato' di Giotto al 'Comune sovrano' di Ambrogio Lorenzetti (con una proposta per la ‘canzone’ del Buon Governo)

DONATO, MARIA
2005

Abstract

Il Buon governo di A. Lorenzetti è un apparente hapax figurativo-iconografico, che gli studi recenti tendono a leggere solo sulla scorta di fonti testuali. Anche a fronte di riletture (Skinner, che nega ogni impronta aristotelica), basate in specie su ‘nuove’ identità del vecchio che domina l’Allegoria centrale, urge tornare all’evidenza interna alle pitture e ricollocarle nella tradizione figurativa: in specie, merita riflettere su un modello perduto: il ciclo che entro il 1328 Giotto lasciò al Palazzo del Podestà di Firenze (§1,2). Da una puntuale rilettura delle pitture, guidata dai tituli metrici e attenta a dettagli poco osservati, come la corda che ‘vincola’ il vecchio alla Giustizia, emerge per la figura discussa un’identità certa: il Comune (di Siena), il cui governo, esito e garante della giustizia, s'identifica col bene comune (§3). Sul Comune era già centrato il ciclo giottesco, di cui si tenta una rievocazione, incrociando fonti testuali e visive in parte mai considerate. Mostrando un contrasto fra opposti – il Comune prima ‘rubato’, poi restaurato e in atto di punire gli aggressori –, si sanzionava ogni attentato economico o politico al bene comune, rimarcando la centralità della giustizia (§4). A tale contrasto-sequenza subentra a Siena quello fra Comune e Tirannia, denunciando il rischio che le malversazioni condannate a Firenze producano un mutamento di regime. E se già a Firenze operava l’‘ideologizzazione del Comune’ propria della scolastica civica, qui (‘pace’ Skinner) è chiara la sintonia con le riletture comunali della ‘Politica’ (§5). Il Comune di Giotto era scortato dalle Virtù cardinali, da secoli compagne dei sovrani; a Siena, l’idea d’un Comune sibi princeps è centrale. Lo mostra in specie la scoperta d’una prima versione del Comune, laureato: il che ‘focalizza’ nel ciclo una serie di tratti ‘imperiali’, in sintonia con l’intonazione ‘bartoliana’ dei coevi Statuti. All’alloro subentrò poi il cappello del giudice, figura che incarna un tratto cruciale del Comune: il ‘legame’ con la giustizia, dove la Tirannide è legibus soluta (§6). Seguono aggiornamenti sulla scoperta d’un pagamento a Lorenzetti (1338) per l’effigie d’un Sindaco, magistrato preposto a tutelare il Comune da ogni minaccia di sovversione (§7). Verificata dall’inizio la rilevanza dei tituli metrici, si propone infine di valutarne l’attribuzione a Bindo di Cione del Frate, in base ad affinità tematiche, lessicali e metrico-sintattiche con la sua Quella virtù che il terzo cielo infonde (§8).
2005
Medioevo: immagini e ideologie
Parma
23-27 settembre 2002
Medioevo: immagini e ideologie. Atti del Convegno Internazionale di studi
Mondadori-Electa
8837036272
Iconografica politica; Giotto; Ambrogio Lorenzetti; Testo e immagine
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