Nella convinzione che le ‘firme’ siano, fra Medioevo e prima Età moderna, fonte preziosa per la storia socio-culturale degli artisti (§1), si affronta come primario 'case study' quello di Giotto. Nelle sue sottoscrizioni, ben poco indagate, si rivela nuovissima l’adozione della formula Opus+nome al genitivo, pressoché assente nel Medioevo, per la quale si identifica un sicuro modello antico: le firme apocrife (Opus Fidie, Opus Praxitelis) dei Dioscuri di Montecavallo (Roma); dei colossi si riconsidera la fortuna medievale e l’impatto su Giotto (Assisi, Padova). L’uso della formula – che sottende la ‘corretta’ lettura delle epigrafi, raggiunta in sede ‘libraria’ solo da Petrarca –, svela in Giotto, già nel Trecento celebrato come rianimatore d'un'arte defunta e paragonato agli antichi, l’intento di confrontarsi con l’antico e la scultura (§2). La novità della firma giottesca è confermata dalla sua prima fortuna (§3), che offre i casi più rilevanti con Neri da Rimini e Giovanni Pisano (Madonna degli Scrovegni). Per Giovanni, la discussione si estende al ruolo dell’antico nella sua autorappresentazione e al ‘paragone’ instaurato dalla ripresa, 'in praesentia' di Giotto, d’una formula che già in lui sottendeva l’emulazione fra le tecniche. A margine e a contrasto, si discutono iscrizioni di aiuti di Giotto, reperite in una fascia decorativa del ciclo padovano. I casi di Giotto e Giovanni sostengono l’ipotesi d’un nesso privilegiato fra firma medievale e protomoderna e confronto con l'antico: questo il tema più generale del saggio, affrontato mantenendo il focus sugli aspetti della Selbstdarstellung, dell’emulazione, del ‘paragone’. La casistica proposta include, prima di Giotto (§1), occorrenze in architettura e scultura, dalla ‘rinascita liutprandea’ al Medioevo centrale francese e italiano (Modena, Pisa, Roma). Dopo il Trecento (§4), si discute la fortuna della formula romano-giottesca in Gentile, Pisanello, Ghiberti, Donatello, Paolo Uccello, tenendo nel debito conto la transizione dalla scrittura gotica alle ‘lettere antiche’. Infine si prospetta l’incidenza, sulla Selbstdarstellung ‘all’antica’, di modelli letterari oltre che epigrafici: incidenza palese almeno dal Quattrocento maturo (Michelangelo giovane riattiva gli archetipi del Fidia plutarcheo e del pliniano ‘faciebat’), ma non priva di problematici precedenti medievali (Vassalletto, S. Lorenzo flM).

Memorie degli artisti, memoria dell'antico: intorno alle firme di Giotto, e di altri

DONATO, MARIA
2006

Abstract

Nella convinzione che le ‘firme’ siano, fra Medioevo e prima Età moderna, fonte preziosa per la storia socio-culturale degli artisti (§1), si affronta come primario 'case study' quello di Giotto. Nelle sue sottoscrizioni, ben poco indagate, si rivela nuovissima l’adozione della formula Opus+nome al genitivo, pressoché assente nel Medioevo, per la quale si identifica un sicuro modello antico: le firme apocrife (Opus Fidie, Opus Praxitelis) dei Dioscuri di Montecavallo (Roma); dei colossi si riconsidera la fortuna medievale e l’impatto su Giotto (Assisi, Padova). L’uso della formula – che sottende la ‘corretta’ lettura delle epigrafi, raggiunta in sede ‘libraria’ solo da Petrarca –, svela in Giotto, già nel Trecento celebrato come rianimatore d'un'arte defunta e paragonato agli antichi, l’intento di confrontarsi con l’antico e la scultura (§2). La novità della firma giottesca è confermata dalla sua prima fortuna (§3), che offre i casi più rilevanti con Neri da Rimini e Giovanni Pisano (Madonna degli Scrovegni). Per Giovanni, la discussione si estende al ruolo dell’antico nella sua autorappresentazione e al ‘paragone’ instaurato dalla ripresa, 'in praesentia' di Giotto, d’una formula che già in lui sottendeva l’emulazione fra le tecniche. A margine e a contrasto, si discutono iscrizioni di aiuti di Giotto, reperite in una fascia decorativa del ciclo padovano. I casi di Giotto e Giovanni sostengono l’ipotesi d’un nesso privilegiato fra firma medievale e protomoderna e confronto con l'antico: questo il tema più generale del saggio, affrontato mantenendo il focus sugli aspetti della Selbstdarstellung, dell’emulazione, del ‘paragone’. La casistica proposta include, prima di Giotto (§1), occorrenze in architettura e scultura, dalla ‘rinascita liutprandea’ al Medioevo centrale francese e italiano (Modena, Pisa, Roma). Dopo il Trecento (§4), si discute la fortuna della formula romano-giottesca in Gentile, Pisanello, Ghiberti, Donatello, Paolo Uccello, tenendo nel debito conto la transizione dalla scrittura gotica alle ‘lettere antiche’. Infine si prospetta l’incidenza, sulla Selbstdarstellung ‘all’antica’, di modelli letterari oltre che epigrafici: incidenza palese almeno dal Quattrocento maturo (Michelangelo giovane riattiva gli archetipi del Fidia plutarcheo e del pliniano ‘faciebat’), ma non priva di problematici precedenti medievali (Vassalletto, S. Lorenzo flM).
2006
Medioevo: il tempo degli antichi
Parma
24-28 settembre 2003
Medioevo: il tempo degli antichi. Atti del convegno internazionale di studi
Mondadori Electa S.p.A.
8837044364
Giotto; Giovanni Pisano; Firme fra Medioevo e Età moderna; Fortuna dell'Antico
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