Il ‘Compianto’ in terracotta di Guido Mazzoni nella chiesa di Santa Maria di Monteoliveto a Napoli (un “Sepolcro” secondo tutte le fonti originarie) è opera assai più celebre che effettivamente nota. Malgrado la ricca bibliografia moderna che lo riguarda, regna infatti grande incertezza sulla sua ubicazione originaria, sul numero delle figure che lo componevano, sul modo in cui esse erano allestite. Grazie ad antiche testimonianze letterarie e visive fin qui inesplorate e alla loro collazione sistematica con altre già note, il relatore è in grado di restituire un quadro completamente inedito della storia di questo capolavoro dalla sua genesi fino al Settecento, recuperandone il rapporto diretto non solo con la committenza di re Alfonso II prima dell’ascesa al trono, ma anche e soprattutto con i suoi progetti di adattamento della tribuna presbiteriale di Monteoliveto come mausoleo degli Aragonesi di Napoli. Consapevoli e memori di tale piano rimasto interrotto, nel primo secolo del Viceregno spagnolo i monaci olivetani accrebbero la presentazione del Sepolcro in una veste che potesse sopperire all’assenza delle tombe dei monarchi – con le rispettive immagini – nella chiesa da loro tanto amata e privilegiata. Fino a che non fu smontato tra il 1684 e il 1685, ridotto nelle figure e trasferito in altri spazi del tempio olivetano, il riallestimento cinquecentesco del Sepolcro mazzoniano inverò a Napoli, con un’efficacia che il tempo ha poi interamente dimenticato, il più autentico sacrario della Casa d’Aragona. Le nuove verifiche sul ‘Sepolcro’ consentono anche di risolvere definitivamente il secolare quesito sui cripto-ritratti in esso racchiusi (Ferrante I? Alfonso II? Pontano? Sannazaro?), così come alcune cruciali confusioni iconografiche moderne tra i sovrani aragonesi.

Guido Mazzoni a Napoli, al servizio dei re aragonesi

Francesco Caglioti
2018

Abstract

Il ‘Compianto’ in terracotta di Guido Mazzoni nella chiesa di Santa Maria di Monteoliveto a Napoli (un “Sepolcro” secondo tutte le fonti originarie) è opera assai più celebre che effettivamente nota. Malgrado la ricca bibliografia moderna che lo riguarda, regna infatti grande incertezza sulla sua ubicazione originaria, sul numero delle figure che lo componevano, sul modo in cui esse erano allestite. Grazie ad antiche testimonianze letterarie e visive fin qui inesplorate e alla loro collazione sistematica con altre già note, il relatore è in grado di restituire un quadro completamente inedito della storia di questo capolavoro dalla sua genesi fino al Settecento, recuperandone il rapporto diretto non solo con la committenza di re Alfonso II prima dell’ascesa al trono, ma anche e soprattutto con i suoi progetti di adattamento della tribuna presbiteriale di Monteoliveto come mausoleo degli Aragonesi di Napoli. Consapevoli e memori di tale piano rimasto interrotto, nel primo secolo del Viceregno spagnolo i monaci olivetani accrebbero la presentazione del Sepolcro in una veste che potesse sopperire all’assenza delle tombe dei monarchi – con le rispettive immagini – nella chiesa da loro tanto amata e privilegiata. Fino a che non fu smontato tra il 1684 e il 1685, ridotto nelle figure e trasferito in altri spazi del tempio olivetano, il riallestimento cinquecentesco del Sepolcro mazzoniano inverò a Napoli, con un’efficacia che il tempo ha poi interamente dimenticato, il più autentico sacrario della Casa d’Aragona. Le nuove verifiche sul ‘Sepolcro’ consentono anche di risolvere definitivamente il secolare quesito sui cripto-ritratti in esso racchiusi (Ferrante I? Alfonso II? Pontano? Sannazaro?), così come alcune cruciali confusioni iconografiche moderne tra i sovrani aragonesi.
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