Come un cavallo di Troia, lo scetticismo è stato promosso da Savonarola e Pico con funzione apologetica sotto la monarchia tomistica di Aristotele, divenendo poi uno strumento sovversivo ereditato anche dagli eretici italiani, destinati a emigrare in Europa lungo il Cinquecento, insieme alle istanze critiche di Lorenzo Valla e al richiamo all’interiorità caro alla tradizione platonica di Firenze. Su queste basi doveva fiorire l’esigenza di comprensione e di pace, affermata da uomini come il Mirandolano, e destinata a concretarsi, in altre terre e in altri tempi, negli ideali della tolleranza. Il De arte dubitandi et confidendi, ignorandi et sciendi, testamento dottrinale di Sébastien Castellion, condensa sull’idea di natura e sulla funzione salutare del dubbio un antidoto alle furiose lotte intestine che stavano insanguinando l’universo cristiano, incitando alla sospensione del giudizio di fronte all’innegabile presenza di aspetti oscuri della rivelazione. Dall’Italia il baricentro si sposta oltralpe, e la Francia diviene la patria in cui si compiono i passi decisivi per la rinascita dello scetticismo, con la traduzione latina del corpus sestano nelle due controverse edizioni parigine (sic) del protestante Henri Estienne (Pyrrhoniarum hypotypωseωn libri III… 1562) e del cattolico Gentian Hervet (Adversus mathematicos… 1569). Il rigido conformismo controriformistico di quest’ultimo risulta profondamente distante dalle aspirazioni antidogmatiche del cristiano riformato Estienne, per il quale il problema religioso andava affrontato analogamente ad altri temi filosofici ed etici. Hervet torna sui passi di Gianfrancesco Pico e si erge a difensore della fede cattolica, rispetto alla quale la σκέψις pirroniana può essere assunta come vero sostegno, in funzione fideistica. Se per Estienne lo scetticismo può essere dunque interpretato come strumento di progresso e di avanzamento nella conoscenza, in Hervet permane invece un atteggiamento dogmatico, evidente nel suo leggere la filosofia pirroniana come totalmente asservita alla centralità della tematica religiosa. Ultime tra i tesori della classicità, risorte grazie al prezioso lavoro filologico degli umanisti, le opere scettiche di Sesto Empirico vantavano soltanto una circolazione greca manoscritta, ma altre fonti hanno certo contribuito a disseminare le idee dello scetticismo, soprattutto l’ampia diffusione delle Vitae philosophorum di Diogene Laerzio, gli Academica di Cicerone e, in controluce, le confutazioni di Agostino. Anche Théodore de Bèze condanna la novorum Academicorum sectam, ritenendoli più pericolosi degli stessi papisti, perché è meglio avere un tiranno, seppur crudele (i.e. Calvino), piuttosto che ognuno abbia la licenza di professare ciò che vuole. Tutto concorre perché all’alba della rivoluzione copernicana, Michel de Montaigne scelga di fare dei suoi Essais (1580-1595) un manifesto dello scetticismo, veicolando la crise pyrrhoniènne nel cuore dell’epoca moderna.
La rinascita dello scetticismo tra eresia e Riforma
Marco Sgattoni
2018
Abstract
Come un cavallo di Troia, lo scetticismo è stato promosso da Savonarola e Pico con funzione apologetica sotto la monarchia tomistica di Aristotele, divenendo poi uno strumento sovversivo ereditato anche dagli eretici italiani, destinati a emigrare in Europa lungo il Cinquecento, insieme alle istanze critiche di Lorenzo Valla e al richiamo all’interiorità caro alla tradizione platonica di Firenze. Su queste basi doveva fiorire l’esigenza di comprensione e di pace, affermata da uomini come il Mirandolano, e destinata a concretarsi, in altre terre e in altri tempi, negli ideali della tolleranza. Il De arte dubitandi et confidendi, ignorandi et sciendi, testamento dottrinale di Sébastien Castellion, condensa sull’idea di natura e sulla funzione salutare del dubbio un antidoto alle furiose lotte intestine che stavano insanguinando l’universo cristiano, incitando alla sospensione del giudizio di fronte all’innegabile presenza di aspetti oscuri della rivelazione. Dall’Italia il baricentro si sposta oltralpe, e la Francia diviene la patria in cui si compiono i passi decisivi per la rinascita dello scetticismo, con la traduzione latina del corpus sestano nelle due controverse edizioni parigine (sic) del protestante Henri Estienne (Pyrrhoniarum hypotypωseωn libri III… 1562) e del cattolico Gentian Hervet (Adversus mathematicos… 1569). Il rigido conformismo controriformistico di quest’ultimo risulta profondamente distante dalle aspirazioni antidogmatiche del cristiano riformato Estienne, per il quale il problema religioso andava affrontato analogamente ad altri temi filosofici ed etici. Hervet torna sui passi di Gianfrancesco Pico e si erge a difensore della fede cattolica, rispetto alla quale la σκέψις pirroniana può essere assunta come vero sostegno, in funzione fideistica. Se per Estienne lo scetticismo può essere dunque interpretato come strumento di progresso e di avanzamento nella conoscenza, in Hervet permane invece un atteggiamento dogmatico, evidente nel suo leggere la filosofia pirroniana come totalmente asservita alla centralità della tematica religiosa. Ultime tra i tesori della classicità, risorte grazie al prezioso lavoro filologico degli umanisti, le opere scettiche di Sesto Empirico vantavano soltanto una circolazione greca manoscritta, ma altre fonti hanno certo contribuito a disseminare le idee dello scetticismo, soprattutto l’ampia diffusione delle Vitae philosophorum di Diogene Laerzio, gli Academica di Cicerone e, in controluce, le confutazioni di Agostino. Anche Théodore de Bèze condanna la novorum Academicorum sectam, ritenendoli più pericolosi degli stessi papisti, perché è meglio avere un tiranno, seppur crudele (i.e. Calvino), piuttosto che ognuno abbia la licenza di professare ciò che vuole. Tutto concorre perché all’alba della rivoluzione copernicana, Michel de Montaigne scelga di fare dei suoi Essais (1580-1595) un manifesto dello scetticismo, veicolando la crise pyrrhoniènne nel cuore dell’epoca moderna.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.