Federico Barocci fu senz’altro il maggior autore di immagini religiose monumentali nella seconda metà del Cinquecento. Richiestissimo dai potenti di tutta Europa, collocò le sue opere sugli altari e nelle collezioni più prestigiose, da Madrid a Praga, rimanendo per oltre un trentennio la principale autorità artistica nel campo della pittura sacra. Proponendosi come erede della grande arte rinascimentale, da Raffaello a Tiziano, egli non poteva che condannare l’uso delle iscrizioni all’interno dei dipinti: il suo principale biografo, Giovan Pietro Bellori, riporta anzi come l’artista si sforzasse continuamente, attraverso un’intensissima preparazione grafica, di rendere le sue storie sacre il più immediate e comprensibili possibile attraverso la correttezza della composizione e l’alchimia raffinatissima dei colori. Barocci, tuttavia, non fu attivo solo nel campo della produzione pittorica, ma anche in quella incisoria. Autore di quattro stampe autografe tratte dai propri dipinti, commissionò, come emerso da recentissime e in parte inedite ricerche, diverse altre stampe di traduzione alle quali affidava la circolazione e la fama visiva dell’opera. Ognuno di questi fogli è dotato di un’iscrizione esplicativa e, nella maggior parte dei casi, quest’ultima può essere ricondotta con certezza all’intenzione autoriale dello stesso Barocci. Ciò conferisce nuovo peso alla notizia, finora trascurata, secondo la quale il pittore fosse solito accompagnare le pale d’altare più prestigiose con “una lettera del pittor per conto di come si ha da vedere il quadro (per istruttione del modo di veder il quadro)”. Attraverso l’analisi delle stampe di traduzione autografe o commissionate da Barocci e la rilettura delle testimonianze scritte, l’intervento si propone di dimostrare come l’artista urbinate fu direttamente coinvolto nel dibattito sulle iscrizioni nelle immagini sacre di Controriforma, prendendo una ferma ma pragmatica posizione che sarebbe servita da riferimento per i pittori della sua generazione e per la critica classicista del secolo successivo.

Federico Barocci e le iscrizioni nelle immagini sacre monumentali

Luca Baroni
2018

Abstract

Federico Barocci fu senz’altro il maggior autore di immagini religiose monumentali nella seconda metà del Cinquecento. Richiestissimo dai potenti di tutta Europa, collocò le sue opere sugli altari e nelle collezioni più prestigiose, da Madrid a Praga, rimanendo per oltre un trentennio la principale autorità artistica nel campo della pittura sacra. Proponendosi come erede della grande arte rinascimentale, da Raffaello a Tiziano, egli non poteva che condannare l’uso delle iscrizioni all’interno dei dipinti: il suo principale biografo, Giovan Pietro Bellori, riporta anzi come l’artista si sforzasse continuamente, attraverso un’intensissima preparazione grafica, di rendere le sue storie sacre il più immediate e comprensibili possibile attraverso la correttezza della composizione e l’alchimia raffinatissima dei colori. Barocci, tuttavia, non fu attivo solo nel campo della produzione pittorica, ma anche in quella incisoria. Autore di quattro stampe autografe tratte dai propri dipinti, commissionò, come emerso da recentissime e in parte inedite ricerche, diverse altre stampe di traduzione alle quali affidava la circolazione e la fama visiva dell’opera. Ognuno di questi fogli è dotato di un’iscrizione esplicativa e, nella maggior parte dei casi, quest’ultima può essere ricondotta con certezza all’intenzione autoriale dello stesso Barocci. Ciò conferisce nuovo peso alla notizia, finora trascurata, secondo la quale il pittore fosse solito accompagnare le pale d’altare più prestigiose con “una lettera del pittor per conto di come si ha da vedere il quadro (per istruttione del modo di veder il quadro)”. Attraverso l’analisi delle stampe di traduzione autografe o commissionate da Barocci e la rilettura delle testimonianze scritte, l’intervento si propone di dimostrare come l’artista urbinate fu direttamente coinvolto nel dibattito sulle iscrizioni nelle immagini sacre di Controriforma, prendendo una ferma ma pragmatica posizione che sarebbe servita da riferimento per i pittori della sua generazione e per la critica classicista del secolo successivo.
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