Non può esserci avvenimento alcuno al di fuori della natura. Nella sua cornice, tutto è determinato a seguirne le ferree leggi, sebbene possa essere ritenuto sovrannaturale da chi ne ignori la concatenazione delle cause: «Les miracles sont selon l’ignorance en quoy nous sommes de la nature, non selon l’estre de la nature» (Michel de Montaigne). Al fondo di una simile convinzione agisce certo una concezione materialista se non meccanicista dell’universo, un motivo che si ripete anche nel Momus di Leon Battista Alberti: «Naturam quidem ultro ac sponte suesse erga genus hominum innato et suo uti officio, eamque haud usquam egere nostris rebus, sed ne eam quidem nostris moveri precibus». I cristiani mutano in superstizione la loro religione quando invocano a testimoni della loro fede i prodigi. Già nel De incantationibus, Pietro Pomponazzi riconosce che ogni evento straordinario interrompe solo in apparenza la regolarità del corso del tempo e la connessione necessaria delle leggi del cosmo. L’estensione artificiale dell’esperienza inevitabilmente limitata dell’individuo, surrogato di quella impossibile conoscenza completa della catena cause/effetti, se potesse realizzarsi, consentirebbe all’uomo di cogliere nella sua interezza l’ordine armonico che governa il tutto. La caratterizzazione del sapere naturale come ricerca inconclusa, che si muove tra supposizioni, incertezze, ripensamenti e sviluppi successivi, è dichiarata in più occasioni nell’opera del Peretto e trova sistematica applicazione sul piano espressivo anche negli Essais di Montaigne: «l’humaine cognoissance, acheminée par les sens, pouvoit juger des causes des choses jusques à certaine mesure, mais qu’étant arrivée aux causes extremes et premieres, il falloit qu’elle s’arrestast et qu’elle rebouchast, à cause ou de sa foiblesse ou de la difficulté des choses». In fondo, che ogni cosa sia com’è e corrisponda alla propria natura, nonostante tutto possa apparire in preda a un incessante mutamento, basta a mantenere attivo, stupito, curioso e vivo lo spirito scettico di Montaigne: «Le monde n’est qu’une branloire perenne» e un capriccio miracoloso non aggiungerebbe niente al fascino. Per gli animi condannati alla libertà esiste un Dio che distribuisce premi e pene, non riescono ad accettare la consustanziale debolezza umana – il condizionamento delle cose e degli altri infetterebbe il supremo libero arbitrio –, pretendono di sottrarsi e d’interrompere l’asfissiante «encheineure des causes Stoïques» che li vorrebbe vivi, ma vinti, con eccezioni arbitrarie di cui possano sentirsi padroni e non soltanto responsabili «en conscience». E proprio a costoro sono rivolte le parole del De immortalitate animae di Pomponazzi che restituiscono valore a una morale soffocata dalle maglie delle religioni, instrumenta regni: «Praemium essentiale virtutis est ipsamet virtus, quae hominem felicem facit... Quod vos spe praemiorum facitis et timore poenae fugitis, ego ex amore et nobilitate virtutis facio, et ex vitii vituperio fugio».

La bilancia del destino. Naturalismo e scetticismo nel Cinquecento

Marco Sgattoni
2020

Abstract

Non può esserci avvenimento alcuno al di fuori della natura. Nella sua cornice, tutto è determinato a seguirne le ferree leggi, sebbene possa essere ritenuto sovrannaturale da chi ne ignori la concatenazione delle cause: «Les miracles sont selon l’ignorance en quoy nous sommes de la nature, non selon l’estre de la nature» (Michel de Montaigne). Al fondo di una simile convinzione agisce certo una concezione materialista se non meccanicista dell’universo, un motivo che si ripete anche nel Momus di Leon Battista Alberti: «Naturam quidem ultro ac sponte suesse erga genus hominum innato et suo uti officio, eamque haud usquam egere nostris rebus, sed ne eam quidem nostris moveri precibus». I cristiani mutano in superstizione la loro religione quando invocano a testimoni della loro fede i prodigi. Già nel De incantationibus, Pietro Pomponazzi riconosce che ogni evento straordinario interrompe solo in apparenza la regolarità del corso del tempo e la connessione necessaria delle leggi del cosmo. L’estensione artificiale dell’esperienza inevitabilmente limitata dell’individuo, surrogato di quella impossibile conoscenza completa della catena cause/effetti, se potesse realizzarsi, consentirebbe all’uomo di cogliere nella sua interezza l’ordine armonico che governa il tutto. La caratterizzazione del sapere naturale come ricerca inconclusa, che si muove tra supposizioni, incertezze, ripensamenti e sviluppi successivi, è dichiarata in più occasioni nell’opera del Peretto e trova sistematica applicazione sul piano espressivo anche negli Essais di Montaigne: «l’humaine cognoissance, acheminée par les sens, pouvoit juger des causes des choses jusques à certaine mesure, mais qu’étant arrivée aux causes extremes et premieres, il falloit qu’elle s’arrestast et qu’elle rebouchast, à cause ou de sa foiblesse ou de la difficulté des choses». In fondo, che ogni cosa sia com’è e corrisponda alla propria natura, nonostante tutto possa apparire in preda a un incessante mutamento, basta a mantenere attivo, stupito, curioso e vivo lo spirito scettico di Montaigne: «Le monde n’est qu’une branloire perenne» e un capriccio miracoloso non aggiungerebbe niente al fascino. Per gli animi condannati alla libertà esiste un Dio che distribuisce premi e pene, non riescono ad accettare la consustanziale debolezza umana – il condizionamento delle cose e degli altri infetterebbe il supremo libero arbitrio –, pretendono di sottrarsi e d’interrompere l’asfissiante «encheineure des causes Stoïques» che li vorrebbe vivi, ma vinti, con eccezioni arbitrarie di cui possano sentirsi padroni e non soltanto responsabili «en conscience». E proprio a costoro sono rivolte le parole del De immortalitate animae di Pomponazzi che restituiscono valore a una morale soffocata dalle maglie delle religioni, instrumenta regni: «Praemium essentiale virtutis est ipsamet virtus, quae hominem felicem facit... Quod vos spe praemiorum facitis et timore poenae fugitis, ego ex amore et nobilitate virtutis facio, et ex vitii vituperio fugio».
2020
QuattroVenti
978-88-392-1026-5
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11384/85373
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