«Molti i conati, dai tredici in poi. Endecasillabi e prosa...»: nel 1954 Carlo Emilio Gadda raccontava i suoi esordi creativi al settimanale «Epoca» iscrivendoli in uno sforzo euristico nato a metà tra prosa e poesia. L’emergere di quest’ultima – riconducibile a ventitré testi, databili tra il 1910 e il 1963, ma pubblicati integralmente solo negli anni Novanta – sembra cioè inseparabile dalla possibilità non versale, dando voce alla predilezione per la simultaneità degli stili che Gadda espone teoricamente negli appunti (da Retica al Racconto), perseguendola pure nelle opere. L’importanza della sua vocazione poetica si è vista tuttavia sistematicamente misinterpretata dalla critica: se le Poesie, per altro a lungo sconosciute, sono state presto ridotte a plasma germinativo dell’idioletto gaddiano, alla “qualità lirica del temperamento” dell’Autore – segnalata da Contini nel ’63 a proposito della Cognizione e riaffermata in seguito da studiosi quali Formentin e Mengaldo – si è spesso attribuito il fallimento dei suoi testi narrativi, ritenuti frammentari, non interamente significanti in termini razionali. Ciò non solo costringe la poesia gaddiana nell’ambito della lirica intesa in senso romantico-ottocentesco (spazio autoreferenziale monologico, dove ogni racconto è precluso); ma soprattutto la allontana nettamente da qualunque discorso non incentrato sulla narrativa, dequalificando entrambe e negandole alla visione complessa che meglio risponderebbe all’uso di un “pensiero vasto”, sollecitato nella Meditazione milanese. La tesi propone dunque una dettagliata lettura delle Poesie, volta a rivalutarne influsso e compresenza dialogica rispetto alla prosa, sviluppando un indispensabile discorso di generi, nella cui compromissione sta la peculiarità del Gadda scrittore e si spiega la sua dinamica con la tradizione, come il rapporto con i contemporanei. Attraverso un inedito viaggio intertestuale – che tenga presente un probabile, ma presto abortito progetto autoriale di pubblicazione dell’opera poetica – esplorate vi sono le forme gaddiane di organizzazione della discorsività attraverso ri-uso e interdipendenza di “sistemi di scrittura” (trattato, romanzo, diario, racconto, saggio, pièce polemica), assumendo la prospettiva “minore” della poesia. Illustrandone la particolare osmosi con la prosa – che va ben oltre la semplice ammissione della coesistenza di topoi nell’ininterrotto circuito della produzione di Gadda – se ne dimostrerà così la specificità senza presumerne alcuna preminenza o subordinazione rispetto alla sua alternativa, con la quale condivide una continuità ontologica: poesie e prose si illuminano cioè a vicenda (e talora anche a fronte di scarti temporali che richiedono interventi a posteriori su componimenti molto antichi), in una duplice e sempre reversibile traiettoria di interferenze che di ciascuna forma conserva l’identità e la portata cognitiva. Restituendo il giusto peso stilistico-intellettuale alla poesia – direttrice simbolica e costruttiva di un percorso la cui impurità cronologica e tematica mai priva i versi di un insostituibile valore espressivo, investendoli anzi di una singolarità ermeneutica – si potrà davvero ripensare alla funzione Gadda, superando le frustranti etichette dell’incompiuto e dell’incoerenza e riposizionando lo scrittore nel canone letterario occidentale.
«Ogni poema è nel mondo infinito” : un’ipotesi interpretativa per le poesie di C.E. Gadda / Colucci, Dalila; relatore: Benedetti, Carla; relatore esterno: Casadei, Alberto; Scuola Normale Superiore, 14-Jan-2016.
«Ogni poema è nel mondo infinito” : un’ipotesi interpretativa per le poesie di C.E. Gadda
Colucci, Dalila
2016
Abstract
«Molti i conati, dai tredici in poi. Endecasillabi e prosa...»: nel 1954 Carlo Emilio Gadda raccontava i suoi esordi creativi al settimanale «Epoca» iscrivendoli in uno sforzo euristico nato a metà tra prosa e poesia. L’emergere di quest’ultima – riconducibile a ventitré testi, databili tra il 1910 e il 1963, ma pubblicati integralmente solo negli anni Novanta – sembra cioè inseparabile dalla possibilità non versale, dando voce alla predilezione per la simultaneità degli stili che Gadda espone teoricamente negli appunti (da Retica al Racconto), perseguendola pure nelle opere. L’importanza della sua vocazione poetica si è vista tuttavia sistematicamente misinterpretata dalla critica: se le Poesie, per altro a lungo sconosciute, sono state presto ridotte a plasma germinativo dell’idioletto gaddiano, alla “qualità lirica del temperamento” dell’Autore – segnalata da Contini nel ’63 a proposito della Cognizione e riaffermata in seguito da studiosi quali Formentin e Mengaldo – si è spesso attribuito il fallimento dei suoi testi narrativi, ritenuti frammentari, non interamente significanti in termini razionali. Ciò non solo costringe la poesia gaddiana nell’ambito della lirica intesa in senso romantico-ottocentesco (spazio autoreferenziale monologico, dove ogni racconto è precluso); ma soprattutto la allontana nettamente da qualunque discorso non incentrato sulla narrativa, dequalificando entrambe e negandole alla visione complessa che meglio risponderebbe all’uso di un “pensiero vasto”, sollecitato nella Meditazione milanese. La tesi propone dunque una dettagliata lettura delle Poesie, volta a rivalutarne influsso e compresenza dialogica rispetto alla prosa, sviluppando un indispensabile discorso di generi, nella cui compromissione sta la peculiarità del Gadda scrittore e si spiega la sua dinamica con la tradizione, come il rapporto con i contemporanei. Attraverso un inedito viaggio intertestuale – che tenga presente un probabile, ma presto abortito progetto autoriale di pubblicazione dell’opera poetica – esplorate vi sono le forme gaddiane di organizzazione della discorsività attraverso ri-uso e interdipendenza di “sistemi di scrittura” (trattato, romanzo, diario, racconto, saggio, pièce polemica), assumendo la prospettiva “minore” della poesia. Illustrandone la particolare osmosi con la prosa – che va ben oltre la semplice ammissione della coesistenza di topoi nell’ininterrotto circuito della produzione di Gadda – se ne dimostrerà così la specificità senza presumerne alcuna preminenza o subordinazione rispetto alla sua alternativa, con la quale condivide una continuità ontologica: poesie e prose si illuminano cioè a vicenda (e talora anche a fronte di scarti temporali che richiedono interventi a posteriori su componimenti molto antichi), in una duplice e sempre reversibile traiettoria di interferenze che di ciascuna forma conserva l’identità e la portata cognitiva. Restituendo il giusto peso stilistico-intellettuale alla poesia – direttrice simbolica e costruttiva di un percorso la cui impurità cronologica e tematica mai priva i versi di un insostituibile valore espressivo, investendoli anzi di una singolarità ermeneutica – si potrà davvero ripensare alla funzione Gadda, superando le frustranti etichette dell’incompiuto e dell’incoerenza e riposizionando lo scrittore nel canone letterario occidentale.File | Dimensione | Formato | |
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