Se la scelta di collocare la finzione utopica nel tempo (immaginandosi un futuro) piuttosto che nello spazio (immaginandosi un altrove) coincide per alcuni autori con la contingenza temporale (e biografica) di un’importante novità storica, culturale e sociale, che investe un’intera comunità – i racconti che ne scaturiranno saranno segnati più dalla speranza o dalla paura, dalle aspettative o dal disincanto verso il progresso, dal desiderio di prolungare l’ebbrezza di quella novità storica o dalla nostalgia di ciò che essa ha soppresso? Queste e altre domande innervano una ricerca che intende analizzare gli sguardi su un remoto futuro (2000, 2073, 2222, 3004, etc.) offertici in un gruppo di opere proto-fantascientifiche pubblicate nei decenni immediatamente successivi l’unità d’Italia. Nipotini di Mercier e Verne, scapigliati delusi dall’avventura risorgimentale, protagonisti di una nascente letteratura di consumo, i vari Ghislanzoni, Mantegazza, Della Sala Spada, Barucchi, e i più noti Dossi, Imbriani, Nievo e Salgari, si impegnarono con minor o maggior convinzione (nonché successo) a descrivere l’esperienza di un meraviglioso viaggio di avvicinamento a un paese immaginato, e quindi immaginario, com’era per loro l’Italia in via di definizione, proiettando in un’ucronia e/o in un’utopia i sogni di sviluppo scientifico-tecnologico e di emancipazione sociale, ma anche l’incubo di rinvenire in esse gli stessi problemi irrisolti del presente (identità nazionale, guerra, istruzione, lavoro, disuguaglianze, etc.). L’individuazione e l’analisi delle costanti tematiche che caratterizzano queste esperienze narrative, nonché l’attenzione riservata alle singole opzioni espressive di scrittura del futuro, intendono pertanto verificare caso per caso in che misura il paesaggio utopico o antiutopico tratteggiato sia del presente un fiducioso ritratto in prospettiva o una disillusa deformazione anamorfica.
Rose a Solferino
TORRE, ANDREA
2012
Abstract
Se la scelta di collocare la finzione utopica nel tempo (immaginandosi un futuro) piuttosto che nello spazio (immaginandosi un altrove) coincide per alcuni autori con la contingenza temporale (e biografica) di un’importante novità storica, culturale e sociale, che investe un’intera comunità – i racconti che ne scaturiranno saranno segnati più dalla speranza o dalla paura, dalle aspettative o dal disincanto verso il progresso, dal desiderio di prolungare l’ebbrezza di quella novità storica o dalla nostalgia di ciò che essa ha soppresso? Queste e altre domande innervano una ricerca che intende analizzare gli sguardi su un remoto futuro (2000, 2073, 2222, 3004, etc.) offertici in un gruppo di opere proto-fantascientifiche pubblicate nei decenni immediatamente successivi l’unità d’Italia. Nipotini di Mercier e Verne, scapigliati delusi dall’avventura risorgimentale, protagonisti di una nascente letteratura di consumo, i vari Ghislanzoni, Mantegazza, Della Sala Spada, Barucchi, e i più noti Dossi, Imbriani, Nievo e Salgari, si impegnarono con minor o maggior convinzione (nonché successo) a descrivere l’esperienza di un meraviglioso viaggio di avvicinamento a un paese immaginato, e quindi immaginario, com’era per loro l’Italia in via di definizione, proiettando in un’ucronia e/o in un’utopia i sogni di sviluppo scientifico-tecnologico e di emancipazione sociale, ma anche l’incubo di rinvenire in esse gli stessi problemi irrisolti del presente (identità nazionale, guerra, istruzione, lavoro, disuguaglianze, etc.). L’individuazione e l’analisi delle costanti tematiche che caratterizzano queste esperienze narrative, nonché l’attenzione riservata alle singole opzioni espressive di scrittura del futuro, intendono pertanto verificare caso per caso in che misura il paesaggio utopico o antiutopico tratteggiato sia del presente un fiducioso ritratto in prospettiva o una disillusa deformazione anamorfica.File | Dimensione | Formato | |
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