Michelangelo scultore: i problemi dell’attività giovanile e il ‘Cupido’ Galli di Manhattan

Specialised studies on Michelangelo continue to face two areas of difficulty regarding his youthful style as a sculptor. On the one hand they are spoiled by the major turning point typified by works such as the Vatican ‘Pietà’ and the ‘David’, with scholars failing to accept that the artist went through a formative period of growth that had not yet reached those exalted points, and was instead powerfully steeped in fifteenth-century culture. On the other, scholarship has been led astray by the enormous fame bestowed on masterpieces such as the two mentioned above or the tomb of Julius II, overlooking the fact that since Vasari himself, and for about three more centuries, the master’s ‘minor’ sculptures stood on the margins of that critical fortune, if not beyond it. Because these works, especially the youthful ones, were unrelated to the ‘Maniera Moderna’, they remained hidden among the under-appreciated sculptures of the Early Renaissance, and the belated reappearance of some of them in the twentieth century has nothing intrinsically strange or suspicious about it. Set against this background, the article jointly considers three fifteenth-century sculptures by Michelangelo rediscovered during the last half century (the ‘Crucifix’ in Santo Spirito, the ‘Young Saint John the Baptist’ in Úbeda and the Galli ‘Cupid’ in New York), focusing on the difficulties in their being definitively admitted to the artist’s catalogue, but above all on the powerful reasons for their inclusion. Stylistic resemblances between these pieces and the rest of Michelangelo’s oeuvre can be found, not without a few surprises, within both his established early output and his maturity, reaching as far as the Rondanini ‘Pietà’.

Gli studi specialistici su Michelangelo incontrano tuttora due ordini di difficoltà con il suo stile giovanile in scultura. Per un verso essi sono viziati dalla svolta grandiosa compiuta da opere come la ‘Pietà’ vaticana e il ‘David’, e non riescono ad accettare che anche il sommo artista abbia avuto una sua crescita formativa non ancora giunta a quelle mete, bensì fortemente calata nella cultura del Quattrocento. Per un altro verso, essi sono fuorviati dall’immensa fama arrisa da sempre a capolavori come i due citati o la tomba di Giulio II, e trascurano quanto, a cominciare dallo stesso Vasari, e poi per circa tre secoli, le sculture ‘minori’ del maestro siano rimaste ai margini, se non al di fuori, di quella fortuna. In particolare, le prove giovanili, a causa della loro estraneità alla Maniera Moderna, si sono nascoste fra le sculture incomprese del primo Rinascimento, per cui la tarda ricomparsa di alcune di esse nel Novecento non ha in sé nulla di strano o di sospetto. Sullo sfondo di tale problematica, questo contributo considera tutte insieme tre opere quattrocentesche di Michelangelo scultore recuperate nell’ultimo mezzo secolo (il ‘Crocifisso’ di Santo Spirito, il ‘San Giovannino’ di Úbeda, il ‘Cupido’ Galli di Manhattan), e si sofferma sulle difficoltà del loro definitivo inserimento nel catalogo dell’artista, ma soprattutto sulle forti ragioni della loro spettanza a esso. I riscontri stilistici tra tali lavori e il resto dell’attività michelangiolesca si possono cogliere, non senza sorprese, sia entro la produzione giovanile assodata sia entro quella matura, arrivando sino alla ‘Pietà’ Rondanini.