Il saggio muove dall’ipotesi che la poesia di Orazio, in particolare l’Ars poetica oraziana, sia stata conosciuta, studiata e discussa dai primi trovatori, i quali nell’elaborare le loro poetiche “implicite” sembrano riflettere su alcuni dei grandi temi posti al centro della riflessione dal grande auctor antico. In particolare si propone di riconoscere un influsso dell’oraziano scribendi recte sapere nell’idea rudelliana di bos sabers, e un richiamo alle categorie di simplex et unum e di totum nel dibattito intorno al vers entiers opposto al vers frag, soprattutto in Marcabru e in Peire d’Alvernha. L’insistenza di Orazio sul valore di una scrittura capace di saldare il momento estetico e quello etico-formativo sembra riverberarsi nella discussione intorno alle finalità e alle modalità dell’ispirazione lirica. Un esplicito richiamo all’Ars poetica viene indicato in una lirica di Bernart Marti, nella quale la traduzione letterale in provenzale (eu sembli be la cot / que non talh’ e fa.l fer talhar) di un celebre principio oraziano (Ergo fungar vice cotis, acutum / reddere quae ferrum valet exors ipsa secandi) sostiene, in polemica con Guglielmo IX, l’ethos di una scrittura poetica elaborata attraverso il faticoso affinamento insieme formale e morale.

The essay moves from the hypothesis that Horace’s poetry, especially the Ars Poetica, was known, studied and discussed by early troubadours. In fact, while creating their “unvoiced” poetics, they seem to consider some of the great themes the ancient auctor discusses. In particular, the essay aims at identifying the influence of the Horacian scribendi recte sapere on Rudel’s idea of bos sabers. Moreover it identifies a connection between the debate on vers entiers vs vers frag in Marcabru and Peire d’Alvernha, to the Horacian categories of simplex et unum and totum. The importance Horace gives to writing as the point of connection between aesthetics and ethics, beauty and education seems to be reflected in the discussion about lyric inspiration which can be found in a lyric by Bernart Marti in which it is possible to recognize the literal translation in Occitan (eu sembli be la cot / que non talh’ e fa.l fer talhar) of a famous Horacian principle (Ergo fungar vice cotis, acutum / reddere quae ferrum valet exors ipsa secandi). The Occitan verse argues – in opposition with William IXth - in favour of an idea of poetry which results from a formal and moral refinement, carried out in parallel.

Orazio e l’ars poetica dei primi trovatori

Bologna, Corrado
2007

Abstract

Il saggio muove dall’ipotesi che la poesia di Orazio, in particolare l’Ars poetica oraziana, sia stata conosciuta, studiata e discussa dai primi trovatori, i quali nell’elaborare le loro poetiche “implicite” sembrano riflettere su alcuni dei grandi temi posti al centro della riflessione dal grande auctor antico. In particolare si propone di riconoscere un influsso dell’oraziano scribendi recte sapere nell’idea rudelliana di bos sabers, e un richiamo alle categorie di simplex et unum e di totum nel dibattito intorno al vers entiers opposto al vers frag, soprattutto in Marcabru e in Peire d’Alvernha. L’insistenza di Orazio sul valore di una scrittura capace di saldare il momento estetico e quello etico-formativo sembra riverberarsi nella discussione intorno alle finalità e alle modalità dell’ispirazione lirica. Un esplicito richiamo all’Ars poetica viene indicato in una lirica di Bernart Marti, nella quale la traduzione letterale in provenzale (eu sembli be la cot / que non talh’ e fa.l fer talhar) di un celebre principio oraziano (Ergo fungar vice cotis, acutum / reddere quae ferrum valet exors ipsa secandi) sostiene, in polemica con Guglielmo IX, l’ethos di una scrittura poetica elaborata attraverso il faticoso affinamento insieme formale e morale.
2007
Settore L-FIL-LET/09 - Filologia e Linguistica Romanza
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